Il consiglio comunale di New York ha formalizzato la proposta di demolire lo storico Paradise Garage, luogo di culto degli appassionati della house music e casa del leggendario Larry Levan
Nel 1972 il giornalista musicale Vince Aletti pubblicò uno dei primi articoli dedicati al mondo del clubbing intitolato ‘Discotheque Rock ’72: Paaaaarty!’. Si parlava di un fenomeno embrionale che si stava sviluppando a New York grazie agli sforzi del leggendario David Mancuso al Loft e, poco più tardi, di Nicky Siano al Gallery. Ci vollero pochi anni prima che la club culture ottennesse un ruolo centrale nella vita notturna della Grande Mela divenendo globale a cavallo del 1976/1977 con l’apertura del Paradise Garage e dello Studio 54. La minoranza afroamericana assieme a quella latino-caraibica erano state il motore di questo percorso, culminato con l’approdo in radio di future icone quali Donna Summer, The Bee Gees, KC and The Sunshine Band e molti altri ancora.
All’apice della sua fama, però, questo fenomeno conobbe la prima importante battuta d’arresto. Nel 1979 il celebre disc jockey Steve Dahl organizzo la tristemente nota “Disco Demolition Night” che prevedeva la distruzione fisica di centinaia di vinili disco, soul e funk durante l’intervallo della partita di baseball tra White Sox e Detroit Tigers al Comiskey Park. Un fenomeno musicale e sociale nato spontaneamente era stato distrutto intenzionalmente come da piani dello stesso Dahl assieme a Lee Abrams e Kent Burkhart, tutti personaggi desiderosi di speculare sul ritorno in auge del rock discograficamente e in radio. Eppure alcuni di questi club restarono attivi e divennero rifugio per chi non voleva cedere a queste pressioni. Il più emblematico fu sicuramente il Paradise Garage che conobbe il suo periodo di massimo splendore grazie soprattutto a Larry Levan, vero e proprio maestro di cerimonie alla consolle. Il suo suono distintivo venne presto definito come garage ed ancora oggi divide la critica tra chi ne parla come elemento precursore della house e chi invece reputa che ne sia stata semplicemente una declinazione. BPM più bassi, elementi disco, R&B, soul e funk con qualche inflessione gospel, questo era l’immaginario che Levan ogni notte creava dentro quelle mura, ma il Paradise Garage diede anche l’opportunità ad artisti poi divenuti celebri di affermarsi. Madonna, New Order, Chaka Khan e Jocelyn Brown sono alcuni dei nomi che hanno varcato la soglia di quel luogo di culto.
Nel 1987 il sogno terminò con la chiusura di un club che era resistito quasi dieci anni in un contesto ostile come rifugio di una nicchia che si rifiutava di chinare il capo alle imposizioni sociali dell’epoca. Quelle mura però sopravvissero nel tempo perfino allo stesso Levan, che nel 1992 morì probabilmente a causa dei suoi trascorsi con eroina e fenciclidina, droga molto popolare in America negli anni Settanta. Quello che però il tempo non distrugge spesso viene distrutto dall’uomo e apprendiamo proprio in questi giorni che il Paradise Garage sarà definitivamente demolito. A luglio il consiglio comunale di New York ha dato il via libera alla distruzione dell’edificio ed è solo questione di tempo prima che questa venga compiuta. L’isteria americana ed il suo bipolarismo politico nel corso degli ultimi anni hanno generato paradossi evidenti, frutto di una nazione che distrugge il tempio di Larry Levan ma dedica a Frankie Knuckles una via di Chicago. Indubbio che nella sua grandezza lo stesso Knuckles fosse un personaggio più consono alla luce dei riflettori, più adatto all’opinione pubblica, più forte in termini di popolarità. Al contrario, Larry Levan era un iconoclasta nero, dichiaratemente gay e tossicodipendente. Una figura scomoda. Che però assieme al Paradise Garage non deve essere sottoposto a damnatio memoriae, almeno tra noi che se oggi “andiamo a ballare” lo dobbiamo soprattutto a personaggi come lui, ma anzi celebrato come uno dei pilastri della nostra cultura.
FONTE: DJ MAG ITALIA