DUE ANNI SENZA CLAUDIO.

di Tommy Totaro

Per me parlare di Claudio Coccoluto è davvero difficile. A dirla tutta dovrebbe esserlo per tutti, ma tant’è e quindi parlo per me, per noi, per NightAwards.it
Dicevo, per me parlare di Claudio Coccoluto è davvero difficile perché Claudio (e lo chiamerò solo “Claudio” da qui in avanti) aveva quella capacità che hanno solo i grandi di parlare per sé ed allo stesso tempo per molti senza però mai smettere di essere sé stesso in tutta la sua complessità, unicità ed eterogeneità. Una persona la cui storia personale (e non servo certo io, ne serviamo noi per raccontarla) e la cui attitudine difficilmente si confanno a quella di uno che il ruolo di guida se lo sente addosso, lo vuole. Sono sempre stati gli altri a ritagliare questo ruolo addosso a Claudio. Per capirne il motivo bastava incrociarlo lungo il percorso.


Un percorso, quello di Claudio, iniziato per sua stessa ammissione per gioco tra radio pirata e negozi di elettrodomestici e diventato quello di un predestinato, sperimentatore,uno sciamano della notte, divulgatore. E se non bastasse, anche quello di un’osservatore attento, di un critico aspro ed allo stesso tempo obiettivo, testimone e promotore di un modo di vivere la musica elettronica, la musica dance, la nightlife (come la chiamano quelli bravi), quello della radiofonia e del dancefloor che oggi sembra lontano davvero anni luce. E che oggi più che mai avrebbero bisogno di lui, con la spinta ed allo stesso tempo la consapevolezza e la pacatezza che solo lui aveva e sapeva infondere alle discussioni tanto quanto in chi lo circondava.


Chi c’era, ahimè come me, sa di cosa sto parlando: incontrai Claudio per la prima volta ormai tanti anni fa, in uno di questi incontri gli regalai un patchwork fatto a mano da me.
Era il 1994, lo scenario era quello del Cube di Napoli. Claudio era già “COCCO”, da anni sparava musica aliena su e giu per l’Italia senza soluzione di continuità, contribuendo in modo decisivo a quella che era l’esplosione dell’House Music. In quell’incontro, con quel regalo, capimmo entrambi, al netto dei convenevoli di rito, che qualcosa di più grande ci connetteva: io nella mia, lui nella sua arte avevamo questa innata attrazione verso la mescolanza, la sovrapposizione, il concetto fondativo che definisce come fonte essenziale della Cultura e la performance artistica, qualsiasi sia la sua natura, la forza insita nell’incontro / scontro, in un continuo melting pot autogenerativo dal quale poi emergono le emozioni, le vibrazioni, gli istinti, tutti figli dei 5 sensi. Apprezzò molto il mio dono, rimanemmo in contatto, da li nacque un bellissimo rapporto culminato qualche anno dopo nel Premio Facenight 2012 come Top Italian DJ. Un pensiero, una nomina ed un attestato che fu inevitabile dargli all’epoca, dopo anni di carriera ai massimi livelli nazionali ed internazionali.

E qui tocca fare una piccola digressione: se non hai mai sentito un DJ set di Coccoluto semplicemente non hai vissuto su questo pianeta negli ultimi 35 anni – e ti sei perso tanta roba, detto a denti stretti. I DJ set di Claudio ti trasmettevano tutto quanto descritto poc’anzi, la Musica attraverso la sua gestualità ed il suo gusto la potevi quasi vedere, oltre che percepire. La “Coccoluto Experience” rappresentava la sublimazione massima del ruolo dell’orecchio all’interno di quella splendida macchina chiamata corpo umano, allo stesso tempo centro dell’equilibrio e del ritmo, oltre che padiglione acustico. Definirla “House Music”, ecco, potrebbe essere riduttivo ed allo stesso tempo il più inclusivo possibile: il dancefloor s’infiammava inevitabilmente, in un mix di generi tra soulful, tribal, disco ed elettronica dalla sublime ricercatezza tanto quanto più “catchy”, tutto sapientemente mescolato dalle sue magiche mani. Il mixer al centro, tutt’intorno un turbine al quale non potevi opporre resistenza se non danzando. Senza limiti, quasi senza regole: un’attitudine, questa, che veniva non castrata, bensì sublimata quando Claudio dismetteva i panni del “dancefloor master” per vestire quelli più austeri e morigerati del tastemaker radiofonico. La prima decade degli anni 2000 è stata inevitabilmente segnata dall’esperienza che Claudio fece su Radio Deejay: “C.O.C.C.O.” è stata per moltissimi una scuola, anzi un’università con master integrato nel mondo della House Music et similia. Un appuntamento irrinunciabile che non poteva che mettere a nudo il Re, dominatore dell’Arte pur conservando quell’aura quasi “aristocratica” che poteva allontanare da Claudio l’aura del mattatore, ma che inevitabilmente finiva per preservarne l’autorevolezza di voce. Claudio riusciva in radio a dimostrare di essere non solo il Re del Dancefloor, ma anche il più grande record seller di sempre. Insomma, l’incarnazione perfetta del DJ-professionista sempre e comunque.

Un alone, quest’ultimo, che lo rendeva il testimonial ed il critico perfetto in ogni momento e circostanza: che si trattasse di presentare prodotti e strumenti musicali (non è un caso, per esempio che un’azienda leader nel setto dei giradischi e non solo come Pioneer non abbia praticamente mai smesso di coinvolgerlo direttamente – come fare altrimenti! – nelle proprie attività promozionali) tanto quanto di parlare di clubbing e dinamiche legate al mondo dell’entertainment musical-notturno ad ogni livello possibile immaginale, dal palco-talk dei grandi festival di settore come nelle discussioni social, il suo essere pacato e semplice, schietto e “on point” rimanendo proattivo, senza scivolare in facili livori e aggiungendo sempre un quid ad ogni dialogo, sempre e comunque, finiva per elevarne la figura passo dopo passo, anno dopo anno. Un monolite al quale guardare con rispetto ed allo stesso tempo un interlocutore con il quale sbagliare era lecito, ravvedersi era consentivo, spingere sull’acceleratore della critica e della provocazione in nome della crescita non trovava sentimenti se non sinceramente positivi.

Potremo poi stare a parlare ore ed ore del Claudio musicista, producer, hit maker, label owner. Probabilmente finiremmo per ripetere quando le caratteristiche dell’Uomo sublimassero la sensibilità, il gusto ed il talento – e pensiamo che non sia questo il pezzo giusto in cui parlarne con dovizia di particolari. Ci limitiamo a dire che tutto il Mondo ha ballato e balla tuttora al ritmo della sua Musica. E questo, non può che riempire ancor di più il nostro cuore di riconoscenza nei suoi confronti, oggi e sempre.


Il lascito finale di Claudio, di un Uomo così, non poteva che essere com’è poi effettivamente stato: gli ultimi anni, braccato da un male che ce l’ha portato via troppo presto, stanno tutti nella miriade di interviste, testimonianze, flussi di memoria e di coscienza espressi ad alta voce di fronte a microfono e webcam in diretta streaming, sui blog e siti specializzati, prodotti con l’unico scopo, qualora ce ne fosse stato ancora
bisogno, di lasciare l’essenza stessa del percorso non di Claudio questa volta, bensì di Coccoluto: unificare nella mente di tutti Uomo e Personaggio, esprimere la gioia di essere stati ed essere se stessi sempre, fino all’ultimo, nella gioia dell’espressione artistica e nella semplicità, oggi troppo spesso dimenticata dalle giovani leve, della ricerca nelle sette note. Una ricerca tecnico-espressiva durata tutta una vita, fino all’ultimo respiro, fino a quando ce n’è. Il dono più grande è la Vita stessa.


Per quanto mi riguarda – è questa la mia fortuna – Claudio e Coccoluto sono sempre stati la stessa persona, sin da quella magica sera al Cube nel 1994. Quando si costruivano i sogni e manco lo sapevamo, quando si fondevano le anime e manco ce ne accorgevamo.
E forse, avevamo meno bisogno di essere qualcos’altro per goderci quell’ancestrale forma di comunicazione chiamata Musica.
Quanto ci manchi, Claudio

 

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