DISCO RUIN, 40 ANNI DI CLUB CULTURE ITALIANA – guarda il trailer

Un viaggio visionario, l’ascesa e il declino dell’Italia del clubbing, raccontati dai protagonisti di questa storia, tra notti in autostrada e afterhours che divorano il giorno. Quattro generazioni che vogliono essere “messe in lista” per entrare in questi luoghi di aggregazione e di perdizione, dove non conta che cosa fai di giorno, ma solo chi interpreti durante la notte. Quarant’anni in cui la discoteca ha prodotto
cultura, arte, musica e moda.
Questa è la storia del Piper, del Bang Bang, dello Space Electronic, dell’ Altromondo, della Baia degli Angeli, del Cosmic, dell’Easy Going, dell’ Histeria, del Plastic, del Kinki, dell’ Ethos, del Macrillo, del Movida, del Diabolik’a, del Vae Victis, dell’ Exogroove, del Big, dello Studiodue, di Le Cinemà, del Cocoricò, dell’ Imperiale, dell’ Insomnia, del Kama Kama, degli Angels of Love, dell’ Echoes, dell’ Alterego, del Tenax, …

Disco Ruin nasce dalla fascinazione evocata dalle rovine di centinaia di discoteche abbandonate in tutta Italia. Le “cattedrali del divertimento” sono state i più potenti luoghi di aggregazione per diverse generazioni. Hanno spostato migliaia di persone di tutte le classi sociali su e giù per l’Italia. Da qui l’esigenza di narrare questo spaccato di società italiana. I protagonisti ci hanno aperto le porte del loro “Altromondo”.
Questa storia parte dagli albori, dalle balere, dai night degli anni ’60, dalle prime discoteche degli anni ’70, per poi focalizzarsi sugli anni ’80 e i ’90. Nessun altro luogo riesce meglio a concentrare più arti insieme: le discoteche calamitavano e lanciavano tutte le nuove tendenze. Tra le mura di ogni discoteca storica c’è un mondo da raccontare. Una parabola che attraversa il costume e la vita delle generazioni che si sono succedute sulle piste.
Le testimonianze di chi l’ha vissuta, di chi ci ha suonato, di chi ne è stato il protagonista. Storie che raccontano le trasformazioni della nostra società nelle sue ore di svago ed eccessi, in ambienti in cui le classi sociali si mescolano.
Momenti in cui la libertà di esprimere il corpo, la sessualità, l’individualità e la creatività sono leciti, quasi necessari, vagheggiando ognuno “quindici minuti di celebrità” per provare a essere “re per una notte”. Luoghi magici e di perdizione, di alienazione, in cui attraverso liturgie di gruppo si animavano e celebravano riti collettivi quasi tribali risvegliando istinti primordiali: la danza, la musica, l’incontro tra i sessi.
Il film racconta un’Italia che non esiste più e che in molti non si sono accorti che sia mai esistita. Lo fa da un punto di vista inedito, intimo e privilegiato, dall’interno di uno dei movimenti dance più riconosciuti al mondo.

Italian Disco Story

’60 – ’70

Prima il liscio nell’aia, poi le balere e infine le discoteche. Negli anni ‘60 furono gli architetti ad accorgersi del nascere di nuovi comportamenti sociali e del bisogno di contenitori per il ballo. La discoteca nasce come luogo della creatività, della libertà, dell’Utopia, sempre in bilico tra una stravagante avanguardia e un inguardabile kitsch.
Camaleontica come lo è l’arte, accoglie fin da subito al suo interno performance e allestimenti in continua evoluzione. Ma la vera consacrazione della discoteca arriva negli anni ‘70 con un vento carico di Disco Music dall’America. In Italia, ben due anni prima
dello Studio 54 e del Paradise Garage di New York, apre la Baia degli Angeli. Bagliori di edonismo, che troverà poi la consacrazione nella decade seguente, fanno dimenticare tutto ciò che succede fuori dalla pista illuminata, mentre l’eroina arriva in un’Italia
totalmente impreparata.

’80

Nella prima metà degli anni ‘80 si assiste a una rivoluzione culturale che cambia il volto dell’intera società italiana: nascono i canali televisivi musicali, l’edonismo è ormai uno stile di vita, l’immagine, caratterizzata dagli eccessi e spesso dai colori esagerati, prende il sopravvento. La notte diventa un luogo dove mascherarsi, dove esibire il corpo che durante la settimana lavorativa viene nascosto. Luogo dove mostrare ambiguità e fluidità sessuali, eccentricità, personalità, istinti non convenzionali: è una sorta di liberazione, un riscatto dal conformismo quotidiano. Nascono i club nell’accezione moderna del termine. Inizia il perfido meccanismo della selezione alla porta. Ma non importa quanto siano costosi gli abiti che si indossano. Club come il Plastic e il Kinki richiedono una presenza di personalità, un riconoscersi “diversi” per appartenere ad una nuova famiglia.
È un’estetica debitrice dell’universo gay, queer, transgender, che qui, prima che in altri luoghi, trovano spazio per esprimersi. E poi ragazze sul cubo dal look barbie, trionfo dei colori, pvc trasparente. Pura performance. La colonna sonora di queste notti si fa martellante e carica di suoni elettronici. Passando dall’Italo Disco, sarà ancora l’America ad invadere la penisola con la nuova musica House e Techno. Il futuro è arrivato.
L’avvento dell’ecstasy (inizialmente legale) sarà come gettare benzina su un fuoco già acceso. Ma la festa subisce un arresto improvviso. Arriva l’AIDS e la libertà sessuale duramente conquistata diventa improvvisamente un veicolo di morte.

’90

È negli anni ’90 che la discoteca assume caratteri quasi religiosi. Un movimento giovanile di questa portata non si era mai visto. I dj fanno muovere con la loro testa e la loro musica un magma umano formato da migliaia di ragazzi pronti a seguirli su e già per l’Italia in un nomadismo notturno che esaspera l’opinione pubblica. La notte non basta più e il clubbing si spalma sulle 48 ore del week end con la proliferazione di “afterhour” e “tea-dance”. Le discoteche diventano enormi “cattedrali” e si allontanano dai centri delle città. Il popolo della notte attirerà su di se gli sguardi impietosi dei media per i problemi di alcool e droga. Tutto il teatro performativo, le sperimentazioni musicali e la moda rimarranno tristemente annegate in un turbinio di polemiche, mentre si balla tutte le notti. Imperativo “Vietato dormire”!

Epilogo

Hangover. Di quegli anni oggi rimangono molti ruderi abbandonati come astronavi in tutto il territorio italiano. Accettazione della diversità, superamento delle differenze di classe sociale, senso di appartenenza ad un movimento, sperimentazione artistica. Questa l’eredità lasciata da quel mondo che si nutriva dell’eccitante curiosità di chi non ha già visto tutto nella vita.

 

 

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